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Приключения Пиноккио / Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino - Карло Коллоди - Страница 8


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Quello che mangiò meno di tutti fu Pinocchio. Chiese uno spicchio di noce e un cantuccio di pane, e lasciò nel piatto ogni cosa. Il povero figliolo, col pensiero sempre fisso al Campo dei miracoli.

Quand’ebbero cenato, la Volpe disse all’oste:

– Datemi due buone camere. Prima di ripartire stiacceremo un sonnellino[61]. Ricordatevi però che a mezzanotte vogliamo essere svegliati per continuare il nostro viaggio.

– Sissignori – rispose l’oste, e strizzò l’occhio[62] alla Volpe e al Gatto.

Appena che Pinocchio fu entrato nel letto, si addormentò e principiò a sognare. E sognando gli pareva di essere in mezzo a un campo, e questo campo era pieno di arboscelli carichi di grappoli, e questi grappoli erano carichi di zecchini d’oro che, dondolandosi mossi dal vento, facevano zin, zin, zin. Ma quando Pinocchio allungò la mano per prendere a manciate tutte quelle belle monete e mettersele in tasca, si trovò svegliato all’improvviso da tre violentissimi colpi dati nella porta di camera.

Era l’oste che veniva a dirgli che la mezzanotte era sonata.

– E i miei compagni sono pronti? – gli domandò il burattino.

– Altro che pronti! Sono partiti due ore fa.

– Perché tanta fretta?

– Perché il Gatto ha ricevuto un’imbasciata, che il suo gattino maggiore, malato di geloni ai piedi, stava in pericolo di vita.

– E la cena l’hanno pagata?

– Che vi pare? Quelle lì sono persone troppo educate, perché facciano un affronto simile alla signoria vostra.

– Peccato! Quest’affronto mi avrebbe fatto tanto piacere! – disse Pinocchio. Poi domandò:

– E dove hanno detto di aspettarmi quei buoni amici?

– Al Campo dei miracoli, domattina, allo spuntare del giorno[63].

Pinocchio pagò uno zecchino per la cena sua e per quella dei suoi compagni, e dopo partì.

Ma si può dire che partisse a tastoni, perché fuori dell’osteria c’era un buio così buio che non ci si vedeva da qui a lì[64]. Nella campagna all’intorno non si sentiva alitare una foglia. Solamente alcuni uccelli notturni, traversando la strada da una siepe all’altra, venivano a sbattere le ali sul naso di Pinocchio, il quale gridava: – Chi va là? – e l’eco delle colline circostanti ripeteva in lontananza: – Chi va là? chi va là? chi va là?

Intanto, mentre camminava, vide sul tronco di un albero un piccolo animaletto.

– Chi sei? – gli domandò Pinocchio.

– Sono l’ombra del Grillo-parlante – rispose l’animaletto con una vocina fioca fioca.

– Che vuoi da me? – disse il burattino.

– Voglio darti un consiglio. Ritorna indietro e porta i quattro zecchini al tuo povero babbo, che piange e si dispera per non averti più veduto.

– Domani il mio babbo sarà un gran signore, perché questi quattro zecchini diventeranno duemila.

– Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito, o sono matti o imbroglioni! Dai retta a me[65], ritorna indietro.

– E io invece voglio andare avanti.

– L’ora è tarda!..

– Voglio andare avanti.

– La nottata è scura…

– Voglio andare avanti.

– La strada è pericolosa…

– Voglio andare avanti.

– Ricordati che i ragazzi che vogliono fare di capriccio, prima o poi se ne pentirono.

– Le solite storie. Buona notte, Grillo.

– Buona notte, Pinocchio, e che il cielo ti salvi dalla guazza e dagli assassini.

Appena dette queste ultime parole, il Grillo-parlante si spense a un tratto e la strada rimase più buia di prima.

14. Pinocchio, per non aver dato retta ai buoni consigli del Grillo-parlante, s’imbatte negli assassini

– Davvero – disse fra sé il burattino – come siamo disgraziati noi altri[66]poveri ragazzi! Tutti ci sgridano, tutti ci ammoniscono, tutti si metterebbero in capo di essere i nostri babbi e i nostri maestri; tutti: anche i Grilli-parlanti. Ecco qui: perché io non ho voluto dar retta a quell’uggioso di Grillo, chi lo sa quante disgrazie, secondo lui, mi dovrebbero accadere! Dovrei incontrare anche gli assassini! Meno male che[67] agli assassini io non ci credo. Per me gli assassini sono stati inventati dai babbi, per far paura ai ragazzi che vogliono andar fuori la notte. E poi se anche li trovassi qui sulla strada, mi darebbero forse soggezione? Neanche per sogno[68]. Anderei loro sul viso, gridando: “Signori assassini, che cosa vogliono da me? Si rammentino che con me non si scherza!” A questa parlantina fatta sul serio, quei poveri assassini scapperebbero via come il vento. Caso poi fossero tanto ineducati da non volere scappare, allora scapperei io…

Ma Pinocchio non potè finire il suo ragionamento, perché in quel punto gli parve di sentire dietro di sé un leggerissimo fruscio di foglie.

Si voltò a guardare, e vide nel buio due figure nere, tutte imbacuccate in due sacchi da carbone, le quali correvano dietro a lui a salti e in punta di piedi[69].

– Eccoli davvero! – disse dentro di sé: e non sapendo dove nascondere i quattro zecchini, se li nascose in bocca sotto la lingua.

Poi si provò a scappare. Ma non aveva ancora fatto il primo passo, che sentì agguantarsi per le braccia e intese due voci orribili, che gli dissero:

– O la borsa o la vita!

Pinocchio non potendo rispondere con le parole, a motivo delle monete che aveva in bocca, fece mille pantomime, per dare ad intendere a quei due, di cui si vedevano soltanto gli occhi attraverso i buchi dei sacchi, che lui era un povero burattino e che non aveva in tasca nemmeno un centesimo falso.

– Via, via! Meno ciarle e fuori i denari! – gridarono i due briganti.

E il burattino fece col capo e colle mani un segno, come dire: “Non ne ho.”

– Metti fuori i denari o sei morto – disse l’assassino più alto di statura.

– Morto! – ripetè l’altro.

– E dopo ammazzato te, ammazzeremo anche tuo padre!

– Anche tuo padre!

– No, no, no, il mio povero babbo no! – gridò Pinocchio con accento disperato: ma nel gridare così, gli zecchini gli sonarono in bocca.

– Ah furfante! dunque i danari te li sei nascosti sotto la lingua? Sputali subito!

E Pinocchio, duro!

– Ah! tu fai il sordo? Aspetta un po’, ché penseremo noi a farteli sputare!

Difatti uno di loro afferrò il burattino per la punta del naso e quell’altro lo prese per la bazza, e lì cominciarono a tirare uno per in qua e l’altro per in là, tanto da costringerlo a spalancare la bocca: ma non ci fu verso. La bocca del burattino pareva ribadita.

Allora l’assassino più piccolo di statura, cavato fuori un coltellaccio, provò a conficcarglielo a guisa di leva e di scalpello fra le labbra: ma Pinocchio, lesto come un lampo, gli azzannò la mano coi denti, e dopo avergliela con un morso staccata di netto[70], la sputò; e figuratevi la sua meraviglia quando, invece di una mano, si accorse di avere sputato in terra uno zampetto di gatto.

Incoraggiato da questa prima vittoria, si liberò degli assassini, e cominciò a fuggire per la campagna. E gli assassini a correre dietro a lui, come due cani dietro una lepre: e quello che aveva perduto uno zampetto correva con una gamba sola.

Dopo una corsa di quindici chilometri, Pinocchio non ne poteva più. Allora si arrampicò su per il fusto di un altissimo pino e si pose a sedere in vetta ai rami. Gli assassini tentarono di arrampicarsi anche loro, ma giunti a metà del fusto sdrucciolarono e, ricascando a terra, si spellarono le mani e i piedi.

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